Livio Senigalliesi
Photoreporter

Memoria

Inchiesta

Ilde Bottoli

Ritornare da Auschwitz è il ritorno da un altro ove disumano, da una terra desolata che oggi possiamo leggere solo attraverso le tracce, – concrete, vere, ma mutate dalla storia e dalla memoria -, lasciate dalla sterminata selva rossa degli inutili alti camini di stufe mai accese delle baracche di mattoni, dove venne via via rinchiusa un’umanità, (quella temporaneamente scampata alle terribili selezioni per le camere a gas), alla quale era stato tolto il nome di uomo, di donna, di bambino. Ebrei, sinti e rom.

Per i nazisti quelle selve di filo spinato erano recinti elettrificati per stück, – pezzi, capi di bestiame -, da sfruttare fino allo sfinimento, per gasarli prima e ridurli in cenere poi negli immensi Krematorium II e III, oppure IV e V, modernissime ed efficientissime macchine del razionale e perverso sistema di produzione della fabbrica della morte.

Auschwitz appartiene ad un disumano altro ove razionalmente ideato e concepito dalla perversa creatività nazionalsocialista.
Il lager deve trasformare in sub-umani quegli esseri che sono considerati un impedimento alla nascita di una nuova specie “superumana”, destinata al dominio totale.
Il sistema concentrazionario nazista arriverà a comprendere migliaia di campi, che sono diffusi in tutta l’Europa occupata dai nazisti, con il solerte aiuto dei regimi fascisti, a partire da quello italiano, oltre che di centinaia di migliaia di volenterosi e solerti collaboratori.
Ma visitare Majdanek, Treblinka, Sobibor, Chelmno, Belzec, oppure Dachau, Buchenwald, Sachsenhausen, Mauthausen, Bergen Belsen, Natzweiler – Struthof …riguarda il presente, non il passato.

La Memoria è senza alcun dubbio uno dei più potenti anticorpi da iniettare con grande forza nel corpo malato di una società, italiana ed europea, dove i batteri del razzismo, a fronte delle immigrazioni, sono sapientemente messi in un brodo di coltura fecondato dalla paura, – del diverso, dello straniero – che deforma prima di tutto noi stessi, con il rischio di farci smarrire il senso dell’appartenenza ad un’unica razza, quella umana.
L’imperativo a non dimenticare è il lascito prezioso e difficile di Primo Levi, e, dopo molti decenni, di molti altri testimoni , sopravvissuti ai lager.
Il testimone è oggi l’unico che può ancora trasmettere ai giovani la memoria delle atrocità a cui vennero sottoposti per trasformarli da esseri umani in nudi corpi disabitati, in cadaveri vivi, in numeri da comprendere in una lingua altra,latrato rabbioso dell’aguzzino.
La memoria dei campi aiuta a far crescere le giovani generazioni che comprendono che andare ad Auschwitz e negli altri luoghi di memoria dove è nata la libertà, è compiere un viaggio nel presente, nel quotidiano intessuto di un pericoloso razzismo, spesso camuffato.
Significa diffondere ed irrobustire gli anticorpi che devono difendere prima di tutto il nostro essere uomini e donne degni di appartenere alla razza umana.

Il Mediterraneo è diventato una grande fossa comune di acqua salata.
Le sue acque hanno inghiottito migliaia di migranti, uomini, donne e bambini, disperati, che la speranza in una vita migliore hanno reso vittime di mercanti d’uomini senza scrupoli, ma spesso vittime anche della nostra indifferenza.
Nazionalismo e razzismo, ingredienti principali di ogni ideologia negatrice dell’umanità dell’altro, oggi ancora fortemente operanti, sono indubbiamente all’origine di altri crimini contro l’umanità che sono di nuovo accaduti, sotto gli occhi del mondo, sotto gli occhi dell’ONU, senza essere impediti.
Cambogia, Ruanda, Bosnia, Srebrenica, Kosovo, Darfur, Palestina, Afghanistan… sono diventati sinonimi di atrocità, evocano stragi e crimini contro l’umanità, genocidi che sono avvenuti ancora e che ancora avvengono, nonostante il monito severo del “Perché non accada mai più” che ci viene da Primo Levi.
Gli aguzzini sono però oggi giudicati da un tribunale internazionale.
L’occhio umano di un fotografo come Livio re-introduce l’uomo là dove è stato negato.
Con le sue immagini crea una comunità umana capace di com-passione.
Introduce uno sguardo fraterno che restituisce l’umanità ai luoghi e ai corpi dilaniati dalle bombe e dalle torture, facendocene comprendere l’orrore.
Le sue foto di guerra, il suo impegno costante a far conoscere quello che molti preferirebbero ignorare, vogliono raccontarci che è di nuovo accaduto, in forme e modi diversi, ciò per cui abbiamo detto “Mai più”.
E’ il suo grande contributo a far vivere la memoria.

Ilde Bottoli, Coordinatrice del Comitato Provinciale per la difesa e lo sviluppo della Democrazia di Cremona, è l’ideatrice e l’organizzatrice del progetto “Il futuro ha una memoria”.

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